Arthur's O'on
Arthur's O'on (it.: "Il Forno di Artù") era una struttura di epoca romana situata sopra un terreno elevato sulla sponda nord del fiume Carron, non lontano da Stenhousemuir (it.: "Stagno della Casa di Pietra") vicino Falkirk, Scozia.[1]
Nomi
modificaNel 1293 appare come "Furnus Arthur" nella Carta dell'Abbazia di Newbattle.[2] Henry Sinclair, Rettore dell'Università di Glasgow verso il 1560, lo chiama "Arthur's Huif", mentre Alexander Gordon lo chiama "Arthur's Hoff".[3] Viene citato anche come "Julius's Hoff" (it: "casa, sala" di Artù o Giulio Cesare).
Descrizione
modificaLa costruzione era in mattoni non legati da malta. La forma era circolare alla base e con una cupola sopra un corpo cilindrico.[4] L'altezza centrale era di 6,7 m e la circonferenza esterna alla base era di 26,8 m.[5] Sul pavimento era visibile un'aquila romana cesellata. Sopra l'entrata erano rappresentate aquile e la dea Vittoria danneggiate dal tempo [6] Un'enorme pietra era all'interno, probabilmente un altare o la base di una statua in bronzo, di cui è stata rinvenuta un dito in una fessura.
Finalità
modificaLa struttura, unica in Britannia, era probabilmente un tempio. La sua prossimità ad una sorgente ha suggerito che fosse dedicato ad una divinità delle acque. Una sua rappresentazione potrebbe essere in un rilievo danneggiato di Rose Hill sul Vallo di Adriano che raffigura una Vittoria, un'aquila ed un edificio con una cupola sotto gli alberi.[7]
Distruzione
modificaNel 1743 fu distrutto da Sir Michael Bruce di Stenhouse per livellare una diga di un mulino sul fiume Carron.[8] Nel 1748 le pietre rimaste furono portate via da un'inondazione.
Tradizioni
modificaUn manoscritto della Historia Brittonum di Nennio (IX sec.) cita Arthur's O'on come una "casa rotonda di pietra levigata" sul fiume Carron, attribuendolo a Carausio. Nel XIV sec. John di Fordun nella "Chronica Gentis Scotorum" afferma che a costruirlo fu Giulio Cesare sul limite più settentrionale dell'Impero Romano: una tradizione popolare vuole che ogni giorno lo smontasse e trasportasse le pietre fino al nuovo accampamento per poi rimontarlo per passarci la notte. Nel XVI sec. George Buchanan lo vedeva come un memoriale di qualche grande vittoria romana.[9] Secondo questa tradizione Vespasiano conseguì una grande vittoria a Camelon e catturò la corona e i gioielli dei re dei Pitti.[2][10] Si dice che la porta fosse di ferro, la cui rimozione da parte dei Monteith di Cars gettò una maledizione sulla famiglia.
Note
modifica- ^ OS 25 inch map 1892-1949, with Bing opacity slider". National Library of Scotland. Ordnance Survey. Retrieved 12 October 2017.
- ^ a b Hector Boece and John Bellenden, The History and Chronicles of Scotland, vol. 1 (Edinburgh, 1831), pp. 103-104.
- ^ Nimmo, William; Gillespie, Robert (1880). The history of Stirlingshire; revised, enlarged and brought to the present time (Vol 1, 3rd ed.). Glasgow: Thomas D Morison. pp. 46–49. Retrieved 2 December 2017.
- ^ Gibson, John Charles (1908). Lands and lairds of Larbert and Dunipace parishes. Glasgow: Hugh Hopkins. pp. 26–27. Retrieved 2 December 2017.
- ^ Nimmo, William; Gillespie, Robert (1880). The history of Stirlingshire; revised, enlarged and brought to the present time (Vol 1, 3rd ed.). Glasgow: Thomas D Morison. p. 47. Retrieved 2 December 2017.
- ^ Inventory of Ancient Monuments Archived 13 May 2008 at the Wayback Machine
- ^ Historic Environment Scotland. "Arthur's O'on, Stenhouse (46950)". Canmore. Retrieved 1 January 2019.
- ^ Grose, Francis; Astle, Thomas; Jeffery, Edward (1809). The Antiquarian repertory: a miscellaneous assemblage of topography, history, biography, customs, and manners. Intended to illustrate and preserve several valuable remains of old times. Chiefly compiled by, or under the direction of, Francis Grose, Thomas Astle and other eminent antiquaries (Vol 4 ed.). London: E. Jeffery. pp. 467–469. Retrieved 2 December 2017.
- ^ Lawrence Keppie (2012). The Antiquarian Rediscovery of the Antonine Wall. Edinburgh: Society of Antiquaries of Scotland. ISBN 978-1-908332-00-4, p. 27-29.
- ^ Raphael Holinshed, The Scottish chronicle, vol. 1 (Arbroath, 1806), p. 77.
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