Discussione:Stato sociale
Origine del concetto Welfare
modificaIl concetto Welfare, così come lo conosciamo oggi, non nasce dal nulla, ma l'haereditato dalle civiltà precedenti, la civiltà che ha avuto un'influenza e un contributo notevole nel rinascimento europeo, è stata la cibiltà islamica, la civiltà islamica si estendeva su un area molto grande e si confina con l'Europa da dalla turchia e Europa dell'est fino all'Andalusia (Spagna), questa influenza in realtà non riguarda solo la scienza per come pensano tanti, ma riguardano tutti gli aspetti della vita. Il concetto dello Stato Sociale, non come nome ma come valori, è così evidente nel modello di società che propone il Corano, l'uguaglianza è un principio fondamentale nella fede islamica ed è il secondo fondamento a cui predicava il profeta (il primo è l'unicità di Dio), quando lo stato Islamico si è esteso comprendendo egitto Levante e Persia (iraq e Iran) Omar Ibn AL-khattab malgrado le dimensioni dello stato, è riuscito a stabilire la giustizia e l'uguaglianza, ha fornito diversi servizi alla popolazione, al pescindere dell'etnia e della fede, e aveva assegnato una paga dalla Tesoreria per ogni individuo a seconda delle sue capacità, la pensione il bonus neonati assistenza, ogni individuo ha accesso alla tesoreria. --83.216.186.174 (msg) 17:45, 16 mag 2012 (CEST)
quali leggi sarebbero utili in italia?
modificasapete quali leggi del welfare state sarebbero utili in italia?
stato cinese?
modifica"Lo Stato sociale è una forma di Stato cinese" .... ?
Collegamenti esterni modificati
modificaGentili utenti,
ho appena modificato 1 collegamento/i esterno/i sulla pagina Stato sociale. Per cortesia controllate la mia modifica. Se avete qualche domanda o se fosse necessario far sì che il bot ignori i link o l'intera pagina, date un'occhiata a queste FAQ. Ho effettuato le seguenti modifiche:
- Aggiunta del link all'archivio https://web.archive.org/web/20150319230451/http://www.contrappunti.info/ma/index.php?option=com_content&task=view&id=78&Itemid=81 per http://www.contrappunti.info/ma/index.php?option=com_content&task=view&id=78&Itemid=81
Fate riferimento alle FAQ per informazioni su come correggere gli errori del bot
Saluti.—InternetArchiveBot (Segnala un errore) 11:43, 11 apr 2018 (CEST)
Lavoro necessario nel "regime conservatore-corporativo", ammesso che sia una dicitura adeguata per esprimere certe realtà politiche?
modificaRiguardo al "regime conservatore-corporativo", leggo che "le prestazioni del welfare sono legate al possesso di determinati requisiti, in primo luogo l'esercitare un lavoro". Eppure mi risulta che il Fascismo fece riforme per i disoccupati, per gli inabili, per i pensionati, quindi lo Stato sociale non si basava necessariamente sul possesso di un lavoro. Sbaglio?
Inoltre: l'Italia HA il modello previdenziale corporativo fascista? AVEVA, semmai.
Revisione voce
modificaQuesta voce ha tanti avvisi quante le bandiere di una nave in rada, e mi sembrano tutti giustificati. Propongo una revisione generale per:
- migliorare la qualità generale riflettendo come lo SS viene studiato e classificato attualmente, usando fonti autorevoli ed eliminando quelle giornalistiche/pubblicistiche o spurie;
- correggere le prosa, che qua e là ha molto ridondanze (vedi para dei regimi);
- eliminare grosse confusioni come modelli/regimi, quindi chiarendo la terminologia (essenziale per una enciclopedia)
- eliminare il caso del "modello asiatico" che mi sembra un potpourri di cittadinanza, sicurezza sociale, biglietti arerei, ecc. e che comunque non è attinente a quello che lì la voce voleva fare, cioè parlare dei regimi classici;
- mettere un incipit meno normativo;
- razionalizzare la storia: questo è un grosso capitolo, la voce ora cerca di fare giustamente un brevissimo sommario, che mi sembra beneficerebbe di qualche integrazione oltre Germania e UK, ma sempre con concisione.
Gradito riscontro a queste proposte. --Tytire (msg) 18:55, 25 apr 2021 (CEST)
- ho fatto quanto proposto sopra. Ho fatto riferimento a testi classici sullo SS. Ho avuto difficoltà a salvare granché dalla versione precedente, zeppa com'era di imprecisioni, confusioni, particolarismi.
- la sezione finale contiene testo precedente e va chiaramente riscritta: estesa, integrata, l'intenzione è farne una sezione di discussione concisa della prospettiva economica (political economy) dello SS e dei dilemmi attuali.
- Tytire (msg) 23:21, 28 apr 2021 (CEST)
concetto di stato sociale
modifica@Lopolo8 possiamo unire lo sforzo nel riordinare questa pagina? questo potrebbe aiutare a evitare di ricadere nella confusione che cercavo di correggere, e anche a razionalizzare la collaborazione. In particolare invito discussione su due cose:
- vedo che stai introducendo un incipit che si riferisce ad una interpretazione normativa di SS (la "visone allargata" a cui ho dato riferimento della definizione) -sarebbe opportuno mantenere la distinzione tra il concetto ristretto (SS=insieme di politiche sociali) e quella, per evitare di confondere il tutto. La visone allargata è poi tendenzialmente foriera di interpretazioni politiche, con ulteriori rischi di POV.
- a me sembra utile evitare di introdurre concetti dicendo "il tal studioso ha detto questo", perché di studiosi ce ne sono tanti e mi sembra più opportuno mettere in evidenza gli argomenti, sostenuti da rispettive fonti.
Grazie x dialogo qui. --Tytire (msg) 16:00, 3 mag 2021 (CEST)
- @Lopolo8 c'è un problema di coding nelle note che hai introdotto e va risolto.
- Le informazioni storiche che hai messo sono già presentate nella sezione storia. Mi sembra che un breve riassunto nell'incipit come stai facendo è utile. Tuttavia attendo dialogo sul concetto di SS e sul perché hai cancellato la definizione che vi avevo messo. --Tytire (msg) 18:34, 3 mag 2021 (CEST)
- ti prego di notare anche che lo SS non è una "forma di governo", le forme di governo sono queste. Parliamone. --Tytire (msg) 18:37, 3 mag 2021 (CEST)
- A scanso di equivoci, elenco le inesattezze e travisamenti delle fonti della voce WP:EN il cui incipit hai tradotto:
- - Britannica parla di “concept of government” e non di forma di governo, che sono altra cosa;
- - la Reutledge (nel passo copiato nelle note) non fa alcun nesso causale tra mancanza di chiara base ideologica e cris del welfare come scritto nella voce;
- - ne parla di “welfare state capitalista” ma dice: "welfare state and the capitalist economic structure in which it was placed" che ha un significato abbastanza diverso
- Insomma il testo proposto mi sembra zeppo di piccoli e grandi pasticci. Non mi sembra che la voce IT abbia bisogno di copiare da EN, possiamo cavarcela da soli. E dobbiamo comunque verificare le fonti per quello che dicono veramente.
- In assenza d tuo riscontro qui, che avrebbe permesso di capire meglio il tuo intento, ho rb le tue modifiche che avevano anche ahimè corrotto il coding delle note.
- Cordialità. --Tytire (msg) 23:34, 3 mag 2021 (CEST)
- ti prego di notare anche che lo SS non è una "forma di governo", le forme di governo sono queste. Parliamone. --Tytire (msg) 18:37, 3 mag 2021 (CEST)
welfare capitalism
modificacredo sia importante accennare al welfare capitalism, riporto ad esempio questa nota presente nella voce dell'autore* Esping-Andersen,The three worlds of welfare capitalism, Cambridge, Polity Press, 1990. ISBN 0-7456-0796-9. È la sua opera più nota e maggiormente citata. In essa l'autore riprende dalle elaborazioni classiche di Karl Polanyi (La grande trasformazione) il concetto di "demercificazione"[Cioè il processo per cui lo stato interviene a ridurre la dipendenza degli individui dal mercato e, con essa, la mercificazione del lavoro. Per un'analisi specifica, cfr. David Benassi, Tra benessere e povertà. Sistemi di welfare e traiettorie di impoverimento a Milano e Napoli, Milano, FrancoAngeli, 2002, pp. 18-19; un accenno chiarificatore anche in Giovanna Fullin, "Instabilità del lavoro ed esposizione al mercato. Le strategie dei lavoratori e il ruolo della famiglia come protezione contro i rischi", sul sito dell'Aiel Archiviato il 17 giugno 2007 in Internet Archive..] per spiegare, attraverso i riferimenti storico-istituzionali, "perché" si sono formati determinati regimi di welfare. Esping-Andersen elabora poi la ben nota tipologia dei tre regimi ideali di welfare: quello liberale (associato ai paesi anglosassoni: USA, Canada, Gran Bretagna, Australia), quello conservatore o corporativo (rilevabile nell'Europa continentale: Francia, Germania, Italia) e quello socialdemocratico (tipico dei paesi scandinavi); in seguito identificati con i tre tipi ideali dell'homo liberalis, homo familisticus e homo socialdemocraticus. Per questo lavoro Esping-Andersen è stato premiato nel 2005 con l'Aaron Wildavsky Enduring Contribution Award dell'APSA (American Political Science Association). --Blablato (msg) 21:13, 6 giu 2022 (CEST)
- ciao @Blablato non ho capito cosa proponi esattamente - una estensione della sezione 3.2 regimi di welfare?
- Noto che su wp-en welfare capitalism ha una voce a sé, non ancora tradotta in it. Nella letteratura italiana effettivamente non mi sembra molto usato, se non mi sbaglio. --Tytire (msg) 21:38, 6 giu 2022 (CEST)
- Non vorrei creare una voce a se, ma semplicemente accennare agli albori del welfare capitalism, ovvero al welfare esordito nel 1919 tramite un'accordo di grandi industriali di farsi carico dei propri dipendenti secondo un principio di restituzione. Il riferimento biblio è Bruni e Zumagni, L'economia civile,2015, il Mulino. --Blablato (msg) 21:58, 6 giu 2022 (CEST)
Personalmente non conosco quel testo. Ma posso cercarlo. Mi piacerebbe infatti capire bene cosa è successo esattamente nel 1919 e soprattutto dove, perché il welfare per quel che mi risulta si è evoluto lentamente e diversamente nei vari paesi; e in occidente da ben prima del 1919. Questa voce qui l'avevo (ri) scritta per essere una introduzione generale e non specifica ad un paese. Se parlassimo dell'Italia, hai visto la voce sulla storia dello stato sociale in età liberale? C'è una sezione sulle riforme del 1919. Ciao. Tytire (msg) 23:43, 6 giu 2022 (CEST)
- Grazie, non avevo letto la voce sulla storia dello stato sociale in Italia, molto interessante e dettagliata, complimenti. In effetti gli autori che ti ho citato prendono spunto dal welfare capitalism americano per evidenziare la differente prospettiva e sviluppi delle strategie particolaristiche da quelle universaliste. Nello specifico citano un accordo firmato nel 1919 negli USA tra grandi magnati tra cui David Rockfeller, Henry Ford, Andrew Carnegie(pag. 103 Dal <<welfare capitalism>> al <<welfare state>>). Mi rimetto alla tua più approfondita competenza. --Blablato (msg) 22:11, 8 giu 2022 (CEST)
sezione Oneri o servizi di utilità sociale.
modificasono state riversate nella voce a mezza pagina molti kb di una tematica marginalmente attinente con una dettagliata disquisizione giuridica a mio parere fuori posto nella voce - siccome vedo molti utenti appena registrati tutti intervenenti sulla stessa sezione, pingo @Retaggio come ultimo amministratore attivo in questa pagina perchè possibilmente aiuti a chiarire cosa succede. Grazie in anticipo. --Tytire (msg) 22:15, 19 nov 2024 (CET)
- Ti ringrazio del ping, ma non credo di essere addentro a questa materia per poter giudicare. D'altra parte il mio ultimo intervento nella pagina è relativo solo a una correzione di un piccolo vandalismo. Ti consiglio di chiedere un parere ai progetti tematici, ovvero Discussioni progetto:Diritto Discussioni progetto:Economia o Discussioni progetto:Politica. Saluti. --Retaggio (msg) 11:48, 20 nov 2024 (CET)
- @Retaggio ti avevo pingato per la questione dei neoutenti multipli intervenenti quasi unicamente su questa voce --Tytire (msg) 22:07, 22 nov 2024 (CET)
- @Raudo15 @Alemarce01 e colleghi del corso di diritto tributario di UNITO, a me sembra che il testo di diritto tributario italiano che avete riversato in questa voce non è adatto alla voce stessa. Questa è una voce introduttiva e generale allo stato sociale, in chiave comparativa internazionale. A mio parere il vostro dettagliatissimo testo giuridico andrebbe bene su una nuova voce dedicata all'argomento. --Tytire (msg) 22:14, 22 nov 2024 (CET)
- Retaggio ho scoperto di cosa si tratta, è questo. Ho chiesto al docente di orientare gli studenti. --Tytire (msg) 22:22, 22 nov 2024 (CET)
- ho messo il testo rimosso qui sotto nel cassetto. secondo me e come discusso con docente di questi studenti, questo era testo paracadutato qui dentro per assolvere azione formativa, ma risultava furi contesto per contenuto e livello di dettaglio sul diritto italiano, in questa voce introduttiva e comparativa sullo stato sociale. Merita apposita collocazione in voce di diritto italiano. --Tytire (msg) 19:07, 7 dic 2024 (CET)
- Retaggio ho scoperto di cosa si tratta, è questo. Ho chiesto al docente di orientare gli studenti. --Tytire (msg) 22:22, 22 nov 2024 (CET)
- @Raudo15 @Alemarce01 e colleghi del corso di diritto tributario di UNITO, a me sembra che il testo di diritto tributario italiano che avete riversato in questa voce non è adatto alla voce stessa. Questa è una voce introduttiva e generale allo stato sociale, in chiave comparativa internazionale. A mio parere il vostro dettagliatissimo testo giuridico andrebbe bene su una nuova voce dedicata all'argomento. --Tytire (msg) 22:14, 22 nov 2024 (CET)
- @Retaggio ti avevo pingato per la questione dei neoutenti multipli intervenenti quasi unicamente su questa voce --Tytire (msg) 22:07, 22 nov 2024 (CET)
Welfare Aziendale
Il welfare aziendale rappresenta l’insieme di somme, beni, servizi e rimborsi che il datore di lavoro offre ai propri dipendenti con l'obiettivo di sostenere il loro benessere e quello delle loro famiglie. Questi vantaggi, che possono essere esentati in tutto o in parte dal reddito da lavoro dipendente, mirano a promuovere finalità sociali. Le iniziative di welfare aziendale integrano quindi la retribuzione monetaria con elementi che migliorano la qualità della vita del lavoratore, sia a livello personale che professionale, e si caratterizzano per il loro carattere eminentemente volontario.[1] In ciò consiste anche la differenza fondamentale con il welfare state. Nell'ordinamento costituzionale italiano, ad esempio, quest'ultimo trova infatti fondamento nell'articolo 38 Cost., in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 Cost., che affidano allo stato repubblicano il compito di realizzare l'uguaglianza sostanziale dei cittadini attraverso le risorse pubbliche e il finanziamento in generale, al di fuori di qualsiasi logica di corrispettività tra contribuzione e prestazione[2]. Nell'ambito del welfare state, invece, i beni e servizi erogati sono rimessi a una scelta libera e volontaria del datore di lavoro, riconducibile a interessi privati, individuali e/o collettivi, ma di certo non generali. Tuttavia, per la loro caratterizzazione sociale, tali interessi rimangono meritevoli di tutela, tanto dal punto di vista del diritto costituzionale interno (art. 41 Cost.), quanto del diritto dell'Unione Europea (art. 107 TFUE).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, si tratta di benefici e prestazioni aggiuntive erogate ai dipendenti per arricchire la componente economica dello stipendio e per sostenere il reddito, contribuendo al contempo a migliorare l’equilibrio tra vita lavorativa e privata.[1]
Le iniziative di welfare aziendale sono nate per rispondere a esigenze sociali e lavorative mutevoli, influenzate dai cambiamenti demografici e dai nuovi modelli organizzativi delle aziende. Già nel dopoguerra, con la crescita delle grandi imprese, alcune aziende italiane cominciarono a offrire forme di assistenza sanitaria e di previdenza sociale, iniziative all’epoca limitate ma innovative, che gettarono le basi per lo sviluppo di una cultura del welfare aziendale.[3] Questa "ricalibratura" del welfare aziendale ha subito un'accelerazione negli anni Settanta del XX secolo, quando le crisi petrolifere, il mutato carattere della concorrenza internazionale, la deindustrializzazione e l'erosione della gestione keynesiana della domanda interna hanno reso insostenibile l'impegno necessario per sorregere lo stato sociale[4]. Infine, l'evoluzione l'evoluzione del welfare aziendale ha fatto un ulteriore passo in avanti con la crisi economica del 2008 e la pandemia di COVID-19, eventi che hanno portato le aziende a riconsiderare l'importanza di garantire la sicurezza e il benessere dei dipendenti. Secondo un rapporto Censis-Eudaimon, negli ultimi anni oltre il 60% delle aziende italiane ha implementato o ampliato programmi di welfare aziendale per rispondere a nuove esigenze legate alla flessibilità, alla salute mentale e alla gestione dello stress.[5]
Il Welfare aziendale si compone di vari elementi:[1]
- spese di istruzione
- assistenza anziani e familiari non autosufficienti
- assistenza sanitaria integrativa
- abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale
- Contributi o premi versati contro il rischio di non autosufficienza
- Servizio sostitutivo mensa
- Beni ceduti e servizi prestati
Oneri o servizi di utilità sociale.
Gli "oneri di utilità sociale" sono le spese sostenute da un’azienda per opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti, nonché per altre spese legate a erogazioni liberali in denaro o in natura. Le erogazioni in natura sono valutate in base al loro valore effettivo, indipendentemente dal valore contabile del bene donato[6]. Tali benefici sociali sono regolati dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).
Gli oneri di utilità sociale traggono la loro origine dall’articolo 41 comma 2 della Costituzione, il quale affianca al concetto di iniziativa economica privata il concetto di utilità sociale. Quest’articolo, come il successivo articolo 118 comma 4, riguardante lo svolgimento di attività di interesse generale, vanno letti tenendo presente il combinato disposto tra gli articoli 2 (principio di solidarietà) e l’articolo 3 comma 2 (uguaglianza sostanziale) della Costituzione,in quanto articoli fondamentali per l’interpretazione del principio di capacità contributiva.[7]
Questa disciplina si inserisce all’interno di una tendenza europea, sempre maggiore, a rafforzare la componente sociale all’interno di diritti e libertà prima impermeabili a questi tipo di influsso. Questa propensione si può facilmente riscontrare nella sempre maggior importanza data ai diritti sociali e alla funzione sociale nelle varie costituzioni europee. Un esempio di questa attitudine ci arriva dalla Costituzione spagnola del 1978 la quale, all’articolo 33, riguardante la proprietà privata e la successione ereditaria, stabilisce che: “la funzione sociale di questi diritti delimiterà il loro contenuto conformemente alle leggi”.[8]
Bisogna, però, sempre tener in conto anche il comma 1 dell’articolo 41, il quale sancisce la libertà di iniziativa economica. Infatti questo primo comma si può porre come criterio per la determinazione dell’an, del quantum e del quomodo del prelievo fiscale che il legislatore può imporre.[9] Dall’enunciazione di questa teoria nascono due correnti di pensiero:
- la prima vede l’articolo 41 comma 1 come un vero e proprio limite all’imposizione fiscale e dunque un baluardo nei confronti dell’intervento statale gravante sull’iniziativa economica privata per ottenere i più disparati fini fiscali.[9] Questa tesi comporta uno stretto rapporto tra l’articolo 41 e l’articolo 53 della Costituzione. Ne deriva che questo articolo divenga anche “espressione del principio di certezza dei limiti del potere pubblico” [10] e dunque si ponga anche come un freno posto al legislatore tributario;
- la seconda tesi, viceversa, legge in maniera slegata l’articolo 41 e l’articolo 53, impedendo così al principio di libertà di iniziativa economica privata di influenzare le scelte del legislatore tributario.[9]
La materia tributaria solleva vari dubbi dal punto di vista del pieno rispetto del principio di uguaglianza tributaria; uguaglianza che viene individuata dal combinato disposto degli articoli 3 e 53 della Costituzione. La deducibilità fiscale degli oneri di utilità sociale determina una deroga sia al principio di capacità contributiva e anche al principio di inerenza, il quale afferma che i costi sostenuti dall'impresa risultano deducibili dal reddito di impresa solo se detti costi sono pertinenti all'attività di impresa.[11]
Il proliferare di continui agevolativi, nel corso degli anni, ha reso il sistema fiscale italiano un labirinto, e questo è anche dovuto al fatto che la differenziazione dei regimi fiscali non è sempre in line con il principio contenuto, all'interno dell'articolo 53 della Costituzione, di capacità contributiva. La logica tradizionale su questo punto sostiene di ritenere che le agevolazioni fiscali si possono considerare legittime nei limiti in cui le finalità extratributarie consentano di soddisfare specifici valori e principi di rilevanza costituzionale. La deroga, inoltre, deve essere ragionevole, giustificata e proporzionale.[12]
La questione è trattata esaustivamente dalla Corte Costituzionale nella sentenza 52/1988, secondo cui "le disposizioni legislative [...] che contengono agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie, quali che ne siano le finalità, hanno palese carattere derogatorio e costituiscono il frutto di scelte del legislatore, al quale soltanto spetta di valutare e di decidere non solo in ordine all'an, ma anche in ordine al quantum e ogni altra modalità e condizione afferente alla determinazione di dette agevolazioni". Inoltre, sempre la Consulta aggiunge che "la deducibilità va concretata e commisurata dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non penso pressanti di quelli della vita individuale".[13]
Gli oneri di utilità sociale sono sostenuti dai soggetti sottoposti ad IRES, ovvero l'imposta sul reddito delle società, che colpisce le società di capitali o cooperative, dei consorzi o enti di diverso tipo[14].
I beneficiari, che godono dei servizi coperti da tali oneri, sono 'le generalità' o 'le categorie' dei lavoratori dipendenti e i loro familiari[15]. Non si può trattare, quindi, di un'agevolazione rivolta a un solo individuo, ma deve sempre essere garantita a una generalità di dipendenti[16].
L'articolo 100 del TUIR disciplina, nello specifico, gli oneri di utilità sociale. Ciò che contraddistingue questa disciplina da quella dell'articolo 95, che riguarda, invece, la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro dipendente, sta nella piena volontarietà degli esborsi.
La società che si impegni a versare i suddetti oneri consegue come beneficio un’agevolazione fiscale, ovvero una deducibilità di tali spese che vengono così sottratte dal reddito complessivo, entro un tetto predeterminato[17]. La deducibilità degli oneri di utilità sociale dipende dalla natura delle spese, in caso di iniziativa volontaria dell'azienda le spese sono deducibili solo fino al limite del 5 per mille. Invece, se questi esborsi fossero dovuti o a specifiche disposizioni di legge o a contratti collettivi, rientrerebbero nel campo di applicazione dell'articolo 95 TUIR, con conseguente totale deducibilità, in ragione del carattere vincolante dell'eventuale disposizione di legge e del contratto collettivo.
Il riferimento al contratto collettivo potrebbe sembrare problematico visto che è comunque un accordo firmato dal datore di lavoro volontariamente, ma, data la peculiarità di questi accordi in ordine allo squilibrio tra le parti contraenti, non può rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 100 TUIR.[18]
Un altro elemento problematico è dato dal fatto che l'ultimo comma di detto articolo prevede la tassatività di questi oneri, ma al contempo dà un elenco talmente ampio per cui risulta impossibile eliminare la discrezionalità del datore di lavoro. Spetta, dunque, all'Amministrazione finanziaria sindacare su detta discrezionalità e laddove dovesse ravvisare una finalità non compatibile con quella sociale, dovrà considerare gli esborsi come fiscalmente irrilevanti e, quindi, indeducibili dal reddito d'impresa.[18]
Tra gli oneri di utilità sociale descritti dall'articolo 100 TUIR, al secondo comma figurano anche le cosiddette "donazioni di utilità sociale", ossia le erogazioni liberali destinate dall'impresa agli enti del terzo settore. I caratteri fondamentali di questa categoria si ravvisano, innanzitutto, nell'assenza di finalità lucrativa (da intendersi in senso oggettivo) e, in secondo luogo, nella natura privata dell'ente[18]. Infatti, a nulla rileva che l'istituzione o la formazione sociale non soddisfi la nozione di "organizzazione non lucrativa di utilità sociale" contenuta all'articolo 10 del Decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 o che coincida, per altro verso, con la più ampia categoria di "ente non commerciale" contenuta nel TUIR.
In particolare, nella categoria delle donazioni di utilità sociale sono comprese le erogazioni liberali (in denaro o in natura) effettuate a vantaggio di enti che hanno personalità giuridica e perseguono esclusivamente finalità tipiche del welfare aziendale (come l'educazione, l'istruzione, la ricreazione, l'assistenza sociale e sanitaria, di culto o la ricerca scientifica). Inoltre, sono contenute le erogazioni liberali disposte a vantaggio dei concessionari privati per la radiodiffusione sonora a carattere comunitario, che invece si caratterizzano per la non esclusività dello scopo sociale e per l'assenza di personalità giuridica. Infine, la lettera i) del secondo comma dell'articolo 100 prende in considerazione le spese relative ai dipendenti impiegati dall'impresa nella prestazione di servizi a favore delle Onlus. In tutti questi casi è evidente che i maggiori problemi consistono nella difficoltà di individuare una ratio unitaria sottesa a questa vasta congerie di ipotesi e nell'assenza di controlli ex ante ed ex post sui beneficiari e sull'utilizzo dell'erogazione[18].
Il tema degli oneri di utilità sociale nel reddito di impresa riguarda anche l'ambito sovranazionale, ed in particolare l'Unione Europea. La prospettiva da cui si parte è simile a quella che si adotta nell'ordinamento interno, ma la logica del libero mercato e gli obiettivi della tutela della concorrenza si allontanano dai principi come l'uguaglianza tributaria sostanziale, la capacità contributiva e la loro correlazione rispetto al principio del concorso alle spese pubbliche.
L'analisi del confronto tra i principi può avere uno sbocco nell'articolo 107 TFUE, che impone agli Stati il divieto di finanziare, attraverso l'uso di risorse pubbliche, interventi a favore di alcune imprese o specifici settori individuati, qualora questi interventi siano anche solo potenzialmente idonei a turbare la concorrenza intracomunitaria, andando ad incidere nell'ambito di settori in cui tale concorrenza esiste o potrebbe esistere. A sostegno di questa tesi, infatti, "l'applicazione di una norma nazionale può comportare una riduzione di imposta a vantaggio delle imprese che rientrano nel suo ambito di efficacia, [...] configurando il rischio che essa si ponga in contrasto con i divieto di cui all'articolo 107 TFUE".[19] In altri termini, il rischio che tali misure fiscali di favore possano, anche solo potenzialmente, falsare la concorrenza tra Stati Membri è da ritenere, sostanzialmente, in re ipsa.- ^ a b c Welfare aziendale: quali sono i vantaggi fiscali per i datori di lavoro, su ipsoa.it.
- ^ Silvia Ciucciovino e Roberto Romei, Welfare aziendale, organizzazione del lavoro e politiche retributive, in Ilario Alvino, Silvia Ciucciovino e Roberto Romei (a cura di), Il Welfare aziendale, Bologna, Il Mulino, 2019, p. 20, OCLC 1137143790.
- ^ Zatti, “Fondamenti teorici del welfare aziendale”, Università di Firenze, 2017.
- ^ (EN) Anton Hemerijck, Recalibrating Europe's semi-sovereign welfare states, in WZB Discussion Paper, SP I 2006-103, Berlin, Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung (WZB), 2006, pp. 4-8, ISSN 1011-9523 .
- ^ Censis-Eudaimon, “Rapporto annuale sul welfare aziendale in Italia”, 2021
- ^ Componenti negativi di reddito - 5 | FiscoOggi.it, su www.fiscooggi.it. URL consultato il 7 novembre 2024.
- ^ Fiscalità di impresa e utilità sociali, Stefania Gianoncelli, pagg. 8-9.
- ^ Diritto costituzionale dei Paesi dell'Unione Europea, Elisabetta Palici di Suni, pag. 306.
- ^ a b c Commentario breve alle leggi tributarie Tomo I, Gaspare Falsitta, pag. 138 e ss..
- ^ Commentario breve alle leggi tributarie Tomo I, Gaspare Falsitta, pag.139.
- ^ Fiscalità di impresa e utilità sociali, Stefania Gianoncelli, pagg. 178-179.
- ^ Manuale di diritto tributario, Andrea Carinci e Thomas Tassini, pag. 69.
- ^ Decisioni, su cortecostituzionale.it.
- ^ A. Contrino, Fondamenti di Diritto Tributario, 2022, p. 64.
- ^ Pierpaolo Donati e Riccardo Prandini, La conciliazione famiglia - lavoro nelle piccole e medie imprese. Costruire e governare nuovi reti., Franco Angeli, 5 novembre 2009.
- ^ Elisa Fagnani, Dalla crisi del welfare state al welfare aziendale. Flexible benefits: verso una nuova forma di finanziamento indiretto all'istruzione?, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, n. 1, marzo 2013, p. 173.
- ^ A. Contrino, ‘Fondamenti di Diritto Tributario’, (2022), p. 187.
- ^ a b c d Fiscalità di impresa e utilità sociali. Stefania Gianoncelli, cap. II.
- ^ Fiscalità di impresa e utilità sociali, Stefania Gianoncelli, pag. 185.