Italia (nave ospedale)
L'Italia è stata una nave ospedale della Regia Marina ed un piroscafo passeggeri italiano.
Italia | |
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L'Italia in una cartolina della compagnia “La Veloce” del 1905. | |
Descrizione generale | |
Tipo | piroscafo passeggeri (1905-1915 e 1919-1940) nave ospedale (1915-1919) trasporto truppe (1940-1943) |
Proprietà | La Veloce Navigazione Italiana a Vapore (1905-1912) Navigazione Generale Italiana (1912-1923, in gestione alla Italia Società di Navigazione a Vapore nel 1913-1917 ed alla Transoceanica Società Italiana di Navigazione nel 1917-1923) requisita dalla Regia Marina nel 1915-1919 Società Italiana di Servizi Marittimi (1923-1932) Lloyd Triestino (1932-1944) requisita dalla Regia Marina nel 1940-1941 e dal Ministero delle comunicazioni nel 1941-1943 |
Costruttori | Odero |
Cantiere | Cantiere della Foce, Genova |
Varo | 23 giugno 1905 |
Entrata in servizio | 1905 (come nave mercantile) |
Destino finale | tornata al servizio civile nel 1919, catturata da forze tedesche il 10 settembre 1943, affondata da attacco aereo il 6 luglio 1944, forse demolita nel 1950 |
Caratteristiche generali | |
Stazza lorda | 5338 o 5018 tsl poi 5203 tsl |
Lunghezza | tra le perpendicolari 119,57 m fuori tutto 124,7-128 m |
Larghezza | 14,5-14,6 m |
Propulsione | macchina a vapore potenza 5800 HP |
Velocità | 13-13,5 nodi |
Passeggeri | (come nave ospedale): 620 posti letto |
Le navi ospedale italiane, Navi mercantili perdute, Naviearmatori, Theshipslist, Agenziabozzo, Gruppo di Cultura Navale | |
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Storia
modificaCostruito nel 1905 nei cantieri Odero di Genova per la compagnia La Veloce Navigazione Italiana a Vapore (con sede a Genova), l'Italia era in origine un piroscafo passeggeri da 5338 (o 5018[1]) tonnellate di stazza lorda[2][3][4][5]. Dotato di due alberi, il piroscafo era stato originariamente progettato per avere una velatura con funzioni ausiliarie[5]. La Veloce impiegò inizialmente la nave (che aveva due unità quasi gemelle, l'Argentina ed il Brasile[5]) nel trasporto di passeggeri e merci sulle tratte per l'America settentrionale, trasferendolo successivamente su quelle per l'America centrale e meridionale[4][5].
Nel 1912 il piroscafo fu trasferito alla Navigazione Generale Italiana (NGI, avente sede a Genova), la principale compagnia di navigazione italiana dell'epoca, che controllava da diversi anni La Veloce[1][4].
Nel corso dello stesso 1912 la NGI, insieme ad altre tre importanti compagnie di navigazione italiane (La Veloce, Lloyd Italiano ed Italia Società di Navigazione a Vapore), stipulò un accordo con il governo del Brasile e con quello dello Stato brasiliano di San Paolo per formare una linea diretta (Genova-Santos) che unisse l'Italia al Brasile trasportando emigranti: le compagnie di navigazione avrebbero ricevuto più di 100.000 lire per ogni viaggio[6]. L'Italia fu uno dei piroscafi messi a disposizione per tale linea[6]. La legge italiana, tuttavia, vietata di accordarsi con governi esteri per favorire l'emigrazione dall'Italia (gli emigranti italiani nello Stato di San Paolo erano impiegati nelle fazendas in condizioni di miseria e sfruttamento), pertanto il Commissariato per l'Emigrazione intervenne, denunciò il patto con le autorità brasiliane, multò le quattro compagnie di navigazione (che furono escluse dal servizio sulla linea diretta per il Brasile) e diede vita ad uno scandalo nazionale[6].
Nel 1913 l'Italia fu trasferito alla Italia Società di Navigazione a Vapore, un'altra società controllata dalla NGI[1][4].
Nel 1915, qualche tempo dopo l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale, l'Italia fu requisito dalla Regia Marina e trasformato in nave ospedale, con una capienza di 620 posti letto[2][3]. Le navi ospedale italiane erano impiegate principalmente nel trasporto di feriti e malati tra le truppe italiane dal Norditalia (provenienti dal fronte dell'Isonzo e delle Alpi) negli ospedali d'appoggio situati in Sicilia e Sardegna, nel supporto sanitario ai contingenti del Regio Esercito dislocati in Libia ed in Albania e nel trasporto di feriti e malati britannici dai Dardanelli (ed in seguito da Salonicco) a Malta ed in Inghilterra, solitamente a Southampton (nel corso di tali missioni le navi ospedale imbarcavano anche personale sanitario, sia maschile che femminile – queste ultime erano chiamate «sisters» –)[2]. Proprio per le aumentate necessità delle truppe britanniche la Regia Marina aveva deciso di incrementare il proprio iniziale nucleo di tre navi ospedale (l'Albaro, in servizio dalla guerra italo-turca, e le gemelle Re d’Italia e Regina d’Italia, requisite subito dopo l'entrata in guerra) con la requisizione, più avanti nel corso dello stesso 1915, dell'Italia e del similare Brasile, anch'esso appartenente alla NGI[2].
Agli inizi del 1916 le navi ospedale, insieme a numerosi trasporti, presero parte alla vasta operazione per il salvataggio dell'esercito serbo in ritirata, che venne imbarcato nei porti dell'Albania e trasportato in Italia[2].
L'Italia fu una delle poche navi ospedale italiane a rimanere in servizio per tutto il conflitto, venendo derequisita e restituita alla NGI (che dal 1917 l'aveva trasferita alla Transoceanica Società Italiana di Navigazione, nella quale era confluita la Italia Società di Navigazione Vapore[1][4]) nel 1919[2][3][7]. Con 80 missioni effettuate e 48.426 infermi trasportati, l'unità fu la seconda nave ospedale italiana del conflitto per missioni svolte (la prima fu l'Albaro, con 90 missioni) e la prima per numero complessivo di degenti trasportati[2].
Nel 1923 il piroscafo fu venduto alla Società Italiana di Servizi Marittimi (SITMAR, con sede a Napoli)[1], che lo impiegò sulle rotte mediterranee verso l'Africa settentrionale[4]. Nel 1931-1932 l'Italia passò alla Società anonima di Navigazione Lloyd Triestino, avente sede a Trieste, che lo iscrisse, con matricola 319, al Compartimento marittimo di Trieste[1][4][8].
Nel corso del suo servizio come nave passeggeri il piroscafo svolse anche numerosi viaggi in Mar Rosso, trasportando pellegrini musulmani diretti a La Mecca[9].
Nel 1936 l'Italia venne utilizzato come trasporto truppe, compiendo vari viaggi in Africa Orientale durante la guerra d'Etiopia[5].
Il 18 agosto 1940, poco più di due mesi dopo l'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale, il piroscafo fu requisito a Trieste dalla Regia Marina, che lo derequisì l'8 ottobre 1940 per poi requisirlo nuovamente, sempre a Trieste, dal 15 ottobre 1940 al 10 novembre 1941, dopo di che la nave fu requisita dal Ministero delle comunicazioni[8]. L'Italia fu utilizzato come trasporto truppe, sia, in prevalenza, sulle rotte per l'Albania[8] che su quelle della Libia, effettuando numerosi viaggi senza subire alcun danno[5].
Il 29 dicembre 1940 l'Italia lasciò Valona alla volta di Brindisi, in convoglio con i grossi trasporti truppe Piemonte e Sardegna e con la scorta della torpediniera Antares[10]. Alle 10.55[11] del mattino del giorno stesso il convoglio venne attaccato 11 miglia a levante di Saseno dal sommergibile greco Proteus, che silurò il Sardegna: mentre il piroscafo colpito si appruava e si piegava sul fianco sinistro, per poi inabissarsi in posizione 40°31' N e 19°02' E[12], l’Antares passò immediatamente al contrattacco: dapprima gettando undici bombe di profondità e costringendo il sommergibile ad emergere, poi, mentre il Proteus affiorava, speronandolo ed affondandolo con l'intero equipaggio[13], una quarantina di miglia ad est di Brindisi[10][14][15][16]. Dopo aver tratto in salvo i superstiti del Sardegna, il convoglio proseguì per Brindisi[10].
Il 30 luglio 1941 il piroscafo, insieme ad un altro trasporto truppe, l'Aventino, compì un viaggio trasportando truppe da Brindisi a Patrasso con la scorta della vecchia torpediniera Giacomo Medici e dell'incrociatore ausiliario Attilio Deffenu[17].
Il 7 settembre 1941 la nave, unitamente ad altri due trasporti truppe (la motonave Città di Trapani ed il piroscafo Quirinale), si trasferì in convoglio da Durazzo a Bari, con la scorta del Deffenu e della torpediniera Antares[9]. Tre giorni più tardi, il 10 settembre, il piroscafo, insieme al Quirinale e con la scorta di Antares e Deffenu, compì un nuovo viaggio da Bari a Durazzo con truppe a bordo[9].
All'una di pomeriggio del 28 marzo 1942 l'Italia lasciò Patrasso alla volta di Bari, in convoglio con i trasporti truppe Piemonte, Francesco Crispi, Aventino, Viminale e Galilea e con la scorta dell'incrociatore ausiliario Città di Napoli e delle anziane torpediniere Bassini, Mosto e Castelfidardo[8][18][19][20]. Poco dopo il traverso di San Nicolò d'Itaca, in condizioni di mare calmo, senza vento, e cielo coperto (tempo però destinato a peggiorare in tarda serata), si aggregarono alla scorta il cacciatorpediniere Sebenico ed alcuni dragamine (secondo altra fonte il Sebenico ed anche una quarta torpediniera, la San Martino, partirono a Patrasso insieme al resto del convoglio, che era inizialmente composto dai soli trasporti Crispi, Galilea e Viminale, cui si aggiunsero, fuori Patrasso, i piroscafi Piemonte, Ardenza ed Italia[19]), mentre un ricognitore sorvolava l'area, permanendo nei pressi sino al tramonto[20]. Alle 18.30 venne oltrepassato Capo Dukato (Isole Ionie) mentre il tempo peggiorava rapidamente, ed alle 19.12 il convoglio si dispose su due file (con Galilea e Viminale in testa rispettivamente a sinistra ed a dritta, distanziate di circa 600 metri[19]) fiancheggiate dalle torpediniere, mentre il Città di Napoli si portò in testa, procedendo a zig zag[20]. Nella tarda serata il convoglio venne avvistato dal sommergibile britannico Proteus, che, tra le 22.45 e le 22.50[8], silurò il Galilea[21]: l'unica nave lasciata ad assistere la nave colpita fu la Mosto, mentre il resto del convoglio proseguì alla volta di Bari, giungendovi l'indomani[20]. Dopo cinque ore di agonia, tra le 3.40 e le 3.50 del 29 marzo, il Galilea s'inabissò in posizione 39°03' N e 20°06' E[8]: nel disastro scomparvero 995 uomini, a fronte di 319 sopravvissuti[20]. La scorta ritenne, a torto, di aver danneggiato un sommergibile[19].
Il 16 luglio 1943 la nave, insieme al trasporto truppe Argentina, era in navigazione da Patrasso a Valona sotto la scorta del cacciatorpediniere Lubiana e delle torpediniere Lince e Pilo quando il convoglio venne attaccato da un sommergibile sconosciuto, circa dodici miglia ad ovest di Capo Dukato: sia l'Italia che l'Argentina furono tuttavia mancati[22].
Il 10 settembre 1943, due giorni dopo la proclamazione dell'armistizio, l'Italia fu catturato dalle truppe tedesche a Durazzo, in seguito all'occupazione della città albanese[1][4][8].
Alcune settimane dopo i comandi tedeschi decisero di utilizzare l'Italia e le altre navi italiane catturate a Durazzo per trasportare a Trieste i reparti della Divisione «Brennero», i cui comandanti si erano accordati con i comandi tedeschi per il disarmo e trasferimento della Divisione in Italia[23][24]. Le operazioni d'imbarco si svolsero a Durazzo il 25 settembre[23]. Tali operazioni terminarono su tutte le navi (nel trasferimento vennero coinvolte le vecchie torpediniere Pilo e Missori e cinque mercantili, tra cui, oltre all'Italia, l'incrociatore ausiliario Arborea, il trasporto truppe Argentina e probabilmente anche i piroscafi Marco e Brumer[24]) alle sei di sera del giorno stesso (l'ultimo reparto ad essere imbarcato fu il 558º Gruppo Semovente, i cui 400-500 uomini, che inizialmente si pensava di lasciare a terra per mancanza di posto, vennero infine distribuiti a bordo delle navi in procinto di partire), ed un'ora dopo le sette navi lasciarono il porto albanese alla volta di Trieste[23]. Tutte le navi – l'Arborea, carico di truppe della «Brennero» ma con funzione anche di nave scorta, procedeva in testa, mentre le torpediniere erano ai lati del convoglio, la Pilo verso il mare e la Missori verso terra[24] – erano condotte dai loro equipaggi italiani, disarmati e sorvegliati da picchetti della Wehrmacht o da reparti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale unitisi alle truppe tedesche[23]. Alle 23.45 dello stesso 25 settembre, durante la navigazione, l'equipaggio e gli uomini della «Brennero» imbarcati sulla Pilo assalirono il picchetto tedesco e, dopo averlo sopraffatto (il sottufficiale comandante venne ucciso, tre uomini furono gettati in mare e quattro catturati[24]), riassunsero il controllo della nave, conducendola a Brindisi il 27 settembre[23]. Non vi furono altri tentativi in tale senso, così che il convoglio, dopo aver sostato brevemente a Trieste, proseguì alla volta di Venezia, dove arrivò il 29 settembre, sbarcando gli uomini della «Brennero» allo scalo ferroviario della città[23].
L'Italia rimase poi sotto il controllo delle forze tedesche. Il 6 luglio 1944 il piroscafo, attaccato da aerei, fu colpito da alcune bombe, inabissandosi nel golfo di Arsia, in Istria[5][8]. Secondo altre fonti, il 6 luglio 1944 l'Italia fu affondato da aerei alleati, ma a Trieste, dove nel 1950 venne recuperato e demolito[1][4].
Note
modifica- ^ a b c d e f g h Theshipslist – La Veloce Navigazione Italiana a Vapore Archiviato il 1º ottobre 2011 in Internet Archive., Theshipslist – Navigazione Generale Italiana Archiviato il 22 gennaio 2009 in Internet Archive., Theshipslist – Società Italiana di Servizi Marittimi Archiviato il 6 dicembre 2011 in Internet Archive. e Theshipslist – Lloyd Triestino Archiviato il 1º maggio 2010 in Internet Archive.
- ^ a b c d e f g h i Agenziabozzo
- ^ a b c d e f g Gruppo di Cultura Navale
- ^ a b c Paolo Piccione, Genova, città dei transatlantici. Un secolo di navi passeggeri, pp. 56-57
- ^ Almanacco storico navale – Navi ospedale
- ^ a b c d e f g h Notarangelo Pagano, p. 252.
- ^ a b c Naviearmatori
- ^ a b c Naval History – December 1940
- ^ Historisches Marinearchiv - ASA
- ^ Notarangelo Pagano, p. 465.
- ^ World War II Day-By-Day: Day 486 December 29, 1940
- ^ A history of military equipment of Modern Greece (1821 - today): (1927-1940) Submarine Y-3 "Proteus"
- ^ I Sommergibili britannici
- ^ RHS Proteus (Y 3) of the Royal Hellenic Navy - Submarine of the Proteus class - Allied Warships of WWII - uboat.net
- ^ Da piroscafo passeggeri ad incrociatore ausiliario.[collegamento interrotto]
- ^ Naval History – March 1942
- ^ a b c d Affondamento del Galilea
- ^ a b c d e Franco Prevato: GIORNALE NAUTICO PARTE PRIMA
- ^ La storia dell'affondamento della nave Galilea: salpata dalla Grecia non arrivò mai a Bari, su Barinedita. URL consultato il 5 novembre 2021.
- ^ Historisches Marinearchiv
- ^ a b c d e f Annali del Dipartimento di Storia – La Resistenza dei militari (PDF), su biblink.it. URL consultato il 26 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
- ^ a b c d Secondo Risorgimento, su secondorisorgimento.blogspot.com. URL consultato il 2 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 29 marzo 2019).
Bibliografia
modifica- Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, Navi mercantili perdute, Roma, Ufficio Storico Marina Militare, 1997, ISBN 978-88-98485-22-2.