Utente:Average Italian/Sandbox
Socrate è la terza parte di un corso tenuto dalla filosofa Hannah Arendt nel 1954 alla Notre Dame University, poi ripubblicato in forma scritta[1].
Contenuto
modificaArendt riflette sulla nascita della tradizione politica occidentale. La tesi è che la condanna a morte di Socrate segni la divisione tra filosofia e politica, in quanto questo evento fa perdere a Platone la speranza della vita della polis.
L'operazione della persuasione (peithein) è fondamentale per la vita politica ateniese, perché è la forma di discorso retorico su cui si regge il dibattito politico. Platone assiste alla disfatta di questo modello nel processo a Socrate (vedere l'apologia), e cerca poi di correggerlo in altri dialoghi. Il tentativo platonico di opporsi alla doxa in virtù delle Idee, criterio universali con cui giudicare la verità di un pensiero o di un'azione, deriverebbe secondo Arendt dalla sconfitta della doxa socratica contro quella irrazionale degli ateniesi.
Platone finisce per ritenere la polis un luogo non sicuro per il filosofo, fino a ribaltare contro di quella l'argomento secondo cui il sapiente non sa cosa sia bene per sé stesso. Il sapiente non sarebbe infatti in grado di pensare al bene altrui poiché troppo occupato in questioni astratte. Platone risponde all'accusa, sostenendo che è proprio il sapiente, colui che contempla il Bene, a dover governare. I suoi argomenti sono i seguenti:
- L'interesse del sapiente verso l'astratto non lo rende inutile
- Le cose eterne sono certamente preziose
L'idea di Bene è in grado di illuminare le altre, rendendole utilizzabili e traducibili in leggi umane.
Arendt nota che lo stereotipo del sapiente greco era già stato sorpassato da Socrate stesso, il quale aveva capito che la sapienza sta nel sapere di non sapere, atto che però la città non gli ha riconosciuto. Quando il filosofo porta la verità delle cose eterne tra i cittadini infatti, questa diventa opinione tra le opinioni, si verifica cioè lo scontro tra l'immortalità del filosofo e quella terrena della polis, in cui la seconda minaccia la prima
Riflettendo sul processo Platone ricava anche che il procedere dialettico sia quello filosofico, perché si rivolge ad un solo interlocutore, mentre la persuasione alla moltitudine. Nel pensiero socratico è il dialogo la novità che è portata nella vita pubblica ateniese, dominata dalla doxa, l'opinione che è anche simbolo della partecipazione pubblica alla politica e di affermazione sociale. La domanda fa emergere il mi pare dell'interlocutore, che deve poi portare alla verità di ogni cittadino.
L'obiettivo socratico non è il miglioramento del cittadino, che sarà poi di Platone, bensì il miglioramento dell'opinione, fatto che spiega i dialoghi aporetici. Socrate cercava di unire i Greci nella vita pubblica e di contrastare i sentimenti di invidia e rancore, che rendevano impossibile il raggiungimento del bene comune
Conosci te stesso
modificaSecondo Socrate il “conosci te stesso” significa che la conoscenza della verità può avvenire solo se si comprende ciò che appare alla nostra esistenza concreta. Questo sforzo porta alla difficoltà del confronto con sé stessi e al rischio della contraddizione, come se ci fosse un altro. La paura della contraddizione è la paura di disunirsi, presupposto del principio di non contraddizione.
La vita assieme agli altri dunque comincia con la vita con sé stessi. La distanza tra i sé porta a contraddizione logica ma anche etica (chi vivrebbe in comunità con un assassino?)
L'unione dei due sé implica però una condizione iniziale di solitudine, cosa che sul piano politico è mal vista dalla polis.
La sconfitta di Socrate
modificaSecondo Socrate (nel riferimento aristotelico) la misura si trova nell'uomo stesso e non in qualcosa di esterno come le leggi. La possibilità del proprio pensiero si ha nel momento della solitudine, cosa che nel tempo alcune organizzazioni politiche hanno reso impossibile. Oltre a questo motivo di conflitto con la polis, c'è anche la questione della sparizione della doxa senza che sia sostituita da alcuna verità. Socrate ha cercato di rendere rilevante la filosofia per la polis.
Questo dissidio porta alla sconfitta della filosofia e al suo allontanamento dalla città. Socrate ancora rispetta le leggi anche se lo condannano, mentre le filosofie successive a Platone se ne disinteressano e reclamano una vita diversa.
Alla luce di questa spaccatura, la filosofia politica, immersa nelle faccende umane, si trova di fronte a due alternative: giudicare la politica sulla base di categorie filosofiche o viceversa.
Platone ricaverà da qui la separazione tra mente (il filosofo) e il corpo (gli affari umani). Il filosofo è immerso nella città, ma il suo compito è quello di trovare quanto di eterno. Ciò spiega anche il dominio della mente sul corpo, cioè dell'attività mentale su quella pratica. Nella “Repubblica” Platone racconta il mito della caverna e la nascita del filosofo, il quale diventa tale dopo la rinuncia alle opinioni e l'uscita dalla caverna. Quando rientra e cerca di spiegare agli uomini ancora dentro ciò che ha visto non viene creduto, perché ha perso il senso comune della doxa. Gli uomini nella caverna sono fissi nell'osservazione delle ombre, e ciò secondo Arendt significa che l'uomo comune è in potenza filosofo, si occupa degli stessi temi che i filosofi elaborano con diverso livello di comprensione. In questo testo, la filosofia cerca le norme che servono agli uomini comuni, nel contesto della proiezione degli affari umani dal punto di vista filosofico.
Meraviglia
modificaLa meraviglia si distingue dalla formazione dell'opinione. Si tratta di una condizione inspiegabile, in cui Socrate si paralizza in alcuni dialoghi. Quando si cerca di esprimere a parole la meraviglia, comincia la filosofia col suo domandare: “Cos'è l'essere?”, “Chi è l'uomo?” ecc. Queste domande non hanno risposte scientifiche, caratterizzano la filosofia come disciplina speciale. L'uomo, formulando le domande ultime, si configura come l'essere interrogante, ragione per cui la scienza (che può rispondere) è legata alla filosofia.
La differenza tra il filosofo e l'uomo sta nel fatto che quest'ultimo rifiuta di subire la meraviglia, accetta l'opinione anche in casi in cui i suoi criteri non sono applicabili. Alla fine il filosofo è colui che fa un'esperienza non discorsiva (fondamento della politica), ed è a metà tra la sfera umana e la sua non appartenenza. Se Socrate sa che anche il filosofo forma la sua opinione, ma continua ad essere aperto alla meraviglia, Platone cerca di prolungare quest'ultima esperienza[2]
Interpretazioni
modificaAdriana Cavarero sostiene che nel pensiero di Arendt la figura di Socrate sia ricorrente per due ragioni: è l'inizio di una pratica sia filosofica che politica, ed è l'invenzione della coscienza, l'interrogarsi dell'io.
Arendt si colloca tra gli smantellatori della metafisica iniziata dalla filosofia greca. La sua lettura della figura di Socrate è quella di una pratica che è stata tradita dalla svolta teoretica di Platone, il quale è centrale nel tentativo di Arendt di ripensare l'umano dopo il totalitarismo. Arendt ritiene che proprio l'Occidente, che si è nutrito del pensiero metafisico, ha partorito il totalitarismo, il tentativo di estirpare l'umanità. Le definizioni di “uomo” della tradizione metafisica collassano nel campo di concentramento.
Come scriverà in “Vita activa”, le definizione del concetto di umanità decide la condizione politica. Un concetto puro di politica può nascere solo dal riconoscimento della pluralità, della diversità di tutti gli uomini. La tradizione metafisica inaugurata da Platone presenta una definizione astratta dell'uomo, inteso non come una pluralità nel senso arendtiano, bensì come una categoria fissa chiusa alla possibilità della diversità. Questo concetto, sul piano ontologico, apre la strada all'annichilimento che poi sarà del nazismo, anche se Arendt nega che Platone sia un responsabile diretto del totalitarismo come invece affermato da Popper.
Socrate è al contrario il modello che fa rendere conto delle diverse doxai come diverse visioni del mondo, in un confronto costante e aperto. Il mondo teoretico invece chiude alla pluralità umana e si rifugia nella kallipolis.[3]
Michel Foucault cerca di colmare il vuoto lasciato da Arendt tra l'interiorità e l'azione pubblica, con la figura greca della parresia. Foucault cerca di recuperare l'etica antica nel tentativo di ricrearne una che non rimandi a un al di là, ma sia immanente al soggetto. Nelle ultime lezioni, sembra che Foucault cominci a criticare il “pensiero pastorale” cristiano, più propenso di altri alla logica del dominio. In “Discorso e verità nella Grecia antica” definisce la parresia come l'atto di dire il vero, stando dalla parte del dovere morale e ignorando i rischi per la propria libertà, verità che dunque ha effetto etico. La verità è una testimonianza personale che parte dal basso e arriva in alto, è un coinvolgimento individuale una cura del sé che Socrate cerca di preservare. L'esistenza di Socrate è uno spazio visibile di verità, affermata con gesti e parole che sfidano i rischi ad essa legati.
Jan Patočka identifica come cura di sé, quindi dell'anima, l'origine della cultura europea, perché è la filosofia che si apre all'azione. Qui il filosofo ceco si lega a Foucault e a Arendt, poiché tutti e tre pensano che la prassi politica sia la manifestazione di un'etica. Secondo Patočka l'anima, scoperta greca, è il superamento del dualismo dell'accettazione del giorno (gli eventi che ci capitano) e il terrore della notte (la morte). La filosofia presocratica scopre proprio quella cura dell'anima, la capacità umana di interrogarsi sul tutto.
Platone è colui che conclude questa scoperta. Patočka indica tre caratteristiche dell'anima socratica: il coraggio, la disciplina e la giustizia, e si conferisce uno stile proprio, che non segue la doxa.[4]
Note
modifica- ^ Socrate, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015, dall'introduzione di Ilaria Possenti
- ^ Socrate, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015, testo di Arendt
- ^ Socrate, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015, dal saggio critico di Adriana Cavarero
- ^ Socrate, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015, dal saggio critico di Simona Forti
Voci correlate
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