Utente:Ferroz002/Il processo di Bobigny

Il processo di Bobigny venne celebrato a Bobigny nell'ottobre e novembre del 1972. Si trattò di un processo per aborto, la cui imputata fu la minorenne Marie-Claire Chevalier, la quale venne accusata di aver abortito l'anno precedente. Alla fine di questo evento, l'imputata venne assolta. Questo processo contribuì al raggiungimento della depenalizzazione dell'aborto in Francia avvenuto per mezzo della Loi Veil del 1975.

La contraccezione e l'aborto in Francia

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Già a partire della sconfitta con la Germania del 1870, la Francia divenne teatro di scontri tra sostenitori dell'aborto e oppositori. Dopo la fine del Primo conflitto mondiale, nel 1920 venne approvata una legge che proibì l'aborto, la vendita di contraccettivi e la diffusione della «anti-conception propaganda»[1]. Il motivo di questa scelta risiede nella volontà, da parte della classe dirigente, di accrescere la popolazione, visto la presenza di una forte crisi demografica.

 
Via dedicata a Marie-Andrée Lagroua Weill-Hallé

Durante l’occupazione nazista, l’aborto venne punito con la pena di morte, in quanto venne considerato dal regime di Vichy come «crimine contro lo Stato». Nel dopoguerra, invece, con la caduta del regime nazista, l’aborto tornò a essere vietato dalla legge del 1920, processato dai tribunali[2].

Nonostante la legge del 1920, cominciarono a presentarsi associazioni per denunciare la proibizione della propaganda a favore del controllo delle nascite. Tra queste vi fu la fondazione di «La maternité heureuse», un'organizzazione creata dalla ginecologa Marie-Andrée Lagroua Weill-Hallé nel 1956. L'obiettivo dell'associazione è quello di informare le donne, in quanto l'ignoranza sulla contraccezione è molto più pericolosa della propaganda, questo perché può portare a gravidanze non volute e a conseguenti rischi anche mortali per la salute delle donne[3].

Anche grazie alle iniziative promosse da diverse associazioni e da diversi attivisti, si assistette a una svolta nel 1967 in Francia. In questo anno venne approvata la Loi Neuwirth, la quale concesse l'uso dei contraccettivi, in particolare quelli per via orale. Nonostante ciò il divieto verso la propaganda anti-natalista continuò a permanere[4].

A partire dagli anni Settanta, grazie alla comparsa del movimento femminista, la contraccezione e l'aborto vennero considerati come mezzi per sostenere l'emancipazione femminile[5].

Il manifesto delle 343 e Choisir

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Il movimento femminista europeo e statunitense, a partire dagli anni Settanta, cominciò a mobilitarsi per dare spazio al disagio vissuto e condiviso in quanto donne, uscendo così dalla sfera privata e dall’ombra a cui erano state costrette per molto tempo.

Esso fece in modo che le donne prendessero coscienza e conoscenza del proprio corpo. Le attiviste posero la seguente domanda a sé stesse, a tutte le donne e alla società: "A chi appartiene il corpo della donna?". Nella risposta apparentemente scontata ma invece rivoluzionaria per l'epoca, in quanto le donne per secoli non furono libere non solo di gestire il proprio corpo ma addirittura di conoscerlo, le femministe trovarono ciò che diede forza e senso alle proprie battaglie a sostegno dell'emancipazione della donna. A partire dal 1971 le attiviste, per il raggiungimento di questo processo, richiesero a gran voce l'aborto libero e gratuito per tutte, evitando così gravidanze non volute.

Oltre al processo di Bobigny, a concorrere al raggiungimento della Loi Veil del 1975, contribuirono iniziative sostenute dai collettivi femministi. Tra queste vi fu quello che accadde nell'aprile del 1971, quando nella rivista di sinistra Le Nouvel Observateur venne pubblicato il Manifesto delle 343, il quale provocò una cesura profonda rispetto a quanto avvenne prima.

Infatti, per mezzo di questo manifesto, le 343 donne firmatarie dichiararono pubblicamente di aver abortito su uno dei periodici francesi più venduti (tiratura 350.000 copie a settimana), rifiutando in modo deciso l'anonimato con cui questa pratica, in quanto venne vista come uno stigma sociale, normalmente avveniva. Il manifesto delle 343 ebbe tra le firmatarie più conosciute: l’autrice Simone De Beauvoir, l’avvocata franco-tunisina Gisèle Halimi che difenderà Marie Claire Chevalier nel processo di Bobigny, la regista Agnès Varda, l’attrice Jeanne Moreau, la cantante Brigitte Fontaine. Con questo manifesto si cominciò a mettere in discussione ciò che si riteneva essere il destino di ogni donna: la maternità. Fu un momento cruciale non solo per la depenalizzazione dell’aborto, ma anche per l’emancipazione femminile. L’obiettivo del documento fu quello di rivendicare con forza l’aborto libero e gratuito[6].

Tra il 1971 e il 1972 Simone De Beauvoir e Gisèle Halimi fondarono l'associazione femminista Choisir, la quale ha tre obiettivi: rendere la contraccezione, che era diventata una pratica legale dal 1967, disponibile, ottenere la soppressione di tutti i testi contrari all'aborto e difendere gratuitamente (come Halimi farà con Marie-Claire nel processo di Bobigny) o assistere qualunque persona accusata di aborto o di complicità in esso.

L'imputata Marie-Claire Chevalier

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Marie-Claire Chevalier (Meung-sur-Loire, 12 luglio 1955 – Orléans, 23 gennaio 2022) è stata un'attivista francese.

Marie-Claire e le sue due sorelle vissero con la madre Michèle nubile, vicino a Parigi. La situazione economica della famiglia fu molto precaria, in quanto a mantenerle era solamente lo stipendio della madre, bigliettaia della metrò a Parigi[7]. Questo perché il padre le abbandonò.

A peggiorare il contesto socio-economico, già molto complicato, della famiglia fu quello che accadde nel 1971 a Marie-Claire.

Infatti, nell'autunno del 1971 accadde «che un compagno di scuola, tale Daniel P., la minaccia, la picchia e poi la costringe a un rapporto sessuale. Marie-Claire resta incinta. Si rende subito conto del problema e cerca aiuto presso la madre, con la quale ha un buon rapporto e si confida»[8]. Così la aiutò ad abortire.

La madre Michèle decise così di rivolgersi alle proprie colleghe, due delle quali la aiutarono nella ricerca, per cercare un abortion provider (espressione utilizzata dalla storiografia anglofona, per indicare le persone, con formazione medica e non, che eseguono aborti. La formula scelta evita il ricorso a espressioni stigmatizzanti come “mammana”, “praticona”, “medicona” ecc), in quanto, a causa della propria condizione economica, non potevano permettersi un aborto sicuro in cliniche private dove l'interruzione di gravidanza era permessa dalla legge, in Francia, infatti, l'aborto, fino al 1975, era considerata una pratica illegale.

A procurarle l'aborto fu Madame Bambuck, la quale utilizzò la tecnica della sonda. Essa consisteva nell'inserimento di una sonda (di materiali diversi, non necessariamente morbido) all'interno dell'utero della donna e lasciato lì per giorni. Questa pratica provocava la dilatazione dell'aborto e la conseguente emorragia. Tutto ciò successe anche a Marie-Claire.

La ragazza e la madre Michèle si recarono in ospedale, poiché la figlia «è costretta al ricovero per il sopraggiungere di una forte emorragia»[8] che, altrimenti, la avrebbe portato a conseguenze anche fatali. Come accadeva spesso alle migliaia di donne che ricorrevano a questa tecnica abortiva, i medici non la denunciarono, in quanto i sintomi di un aborto procurato sono indistinti da quelli a seguito di un aborto spontaneo. Per questo motivo, moltissime donne non vennero punite.

Marie-Claire tornò a casa «guarita e libera»[9]. A denunciarla ci pensò Daniel P., il ragazzo che l'aveva violentata, poiché volle distogliere l'attenzione dal suo caso, in quanto venne accusato di aver rubato un'auto.

Così l'11 ottobre 1972 iniziò il processo a Marie-Claire, accusata di aver abortito l'anno precedente, presso il Tribunale dei Minori a Bobigny. Vennero inoltre messe sotto accusa come «complici la mamma, le due amiche che l'hanno consegnata e aiutata e la "fabbricante di angeli" (gli abortion providers venivano definiti in francese faiseuse d'anges, cioè fabbricanti di angeli) Madame Bambuck»[9].

Il processo

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Durante questo processo vennero giudicate Marie-Claire Chevalier per aver interrotto la gravidanza, come complici la madre Michèle, le due colleghe della metro della medesima e Madame Bambuck per aver procurato l'aborto alla giovane ragazza[9].

 
L'avvocata femminista franco-tunisina Gisèle Halimi

Il processo avvenne in due "round", infatti Marie-Claire dovette presentarsi presso il Tribunale dei minori di Bobigny l'11 ottobre per essere giudicata, mentre le altre accusate il 22 novembre[9]. In entrambi i casi la difesa venne gestita gratuitamente dall'avvocata franco-tunisina Gisèle Halimi.

Questo processo mostrò alla Francia e al mondo una grave tragedia che migliaia di donne dovettero subire per interrompere la propria gravidanza: quella dell'aborto clandestino. Esso da eccezione drammatica si scoprì essere, invece, una piaga diffusa, un vulnus sperimentato in maniera violenta e disumana da molte gestanti.

Il processo a Marie-Claire ha fatto in modo che la macchina legislativa contraria all'aborto si inceppasse. A comportare ciò fu un singolo granello di sabbia: il suo nome è Marie-Claire[10]. In tutta la Francia si organizzano manifestazioni a sostegno dell'imputata: «Marie-Claire e sua mamma non sono più sole: l'opinione pubblica si è mossa»[9].

Il processo a Marie-Claire

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L'11 ottobre 1972 inizia il processo a Marie-Claire Chevalier, il quale è diventato un «clamoroso processo all'aborto»[11]. A difendere la ragazza ci pensò l'avvocata franco-tunisina Gisèle Halimi, la quale si sentì pienamente coinvolta dalla questione a tal punto da volerla difendere gratuitamente, lei stessa disse nella propria arringa: «Ebbene, ciò che tento di esprimere oggi qui, è che mi identifico precisamente e totalmente con la signora Chevalier e con queste tre donne che la legge definisce complici, con queste donne presenti all’udienza, con le donne che manifestano nelle piazze, con i milioni di donne francesi e di altri paesi. Esse sono la mia famiglia, sono la mia battaglia, sono la mia pratica quotidiana»[12].

Halimi prosegue nella propria arringa negando ogni valore alla legge del 1920, ancora vigente, che criminalizzava la pratica abortiva. Infatti essa veniva continuamente violata da migliaia di donne, per questo motivo la legge non può più essere considerata valida[13].

L'avvocata sostiene inoltre questa legge condanna solamente le donne povere, coloro che, come Marie-Claire, non possono permettersi di abortire in modo sicuro e legale nelle cliniche svizzere o inglesi[14]. Halimi prosegue sostenendo che la ragazza non ricevette un'educazione sessuale, in quanto la madre non ebbe i mezzi per impartirgliela e, all'epoca, nelle scuole non si insegnava. L'altro grave problema che gravava su tutte le donne è quello che riguarda la contraccezione che, nonostante fosse resa legale nel 1967 per mezzo della Loi Neuwirth, avveniva per lo più in modo clandestino[15].

Halimi considera la legge del 1920 come «la pietra di paragone dell'oppressione che colpisce ogni donna»[16], questo perché viene tolto alle donne il «diritto di scegliere di dare la vita»[17] che la stessa definisce nel seguente modo: «l'atto di procreazione è l'atto di libertà per eccellenza. La libertà fra tutte le libertà, la più fondamentale, la più intima delle nostre [delle donne] libertà»[18]. L'avvocata, alla fine della sua arringa, sprona i giudici ad assumersi le proprie responsabilità[19].

Marie-Claire alla fine venne assolta, in quanto non ebbe scelta nel compiere il reato per cui è stata accusata, è la prima volta che un'imputata viene assolta, dopo aver confessato di aver compiuto il crimine per cui è stata processata[9].

Il processo alle «complici»[9]

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Il 22 novembre iniziò la seconda parte del processo, nel quale vennero giudicate: la madre Michèle, le due colleghe della metro e l'abortion provider Madame Bambuck. La difesa, presieduta sempre dall'avvocata femminista Gisèle Halimi, venne sostenuta dai testimoni. Essi furono: «Jacques Monod e François Jacob, premi Nobel per la fisiologia e la medicina; il prof. Paul Milliez docente della Facoltà di Medicina di Broussais, il dottor Raoul Palmer, ginecologo, capo chirurgo della Facoltà; il biologo Jean Rostand dell'Accademia Francese»[9].

Grazie all'avvocata Halimi, sostenuta dall'istanza testimoniale, alla fine del processo: Michèle venne punita con «una multa per lei (che non dovrà pagare), una pena simbolica per Madame Bambuck, l'assoluzione per le altre»[20].

L'importanza del processo

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DA FINIRE MANCANO I LIBRI.

Quante Marie-Claire in Italia?

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  1. ^ Bibia Pavard, The Right to Know? The Politics of Information about Contraception in France (1950s–80s), in Medical History, vol. 63, n. 2, 2019, p. 174.
  2. ^ Lorenza Perini, Il corpo del reato. Parigi 1972 - Padova 1973: storia di due processi per aborto, Bologna, BraDypUs, 2014, p. 19.
  3. ^ Bibia Pavard, The Right to Know? The Politics of Information about Contraception in France (1950s–80s), in Medical History, vol. 63, n. 2, p. 175.
  4. ^ Bibia Pavard, The Right to Know? The Politics of Information about Contraception in France (1950s–80s), in Medical History, vol. 63, n. 2, p. 178.
  5. ^ Bibia Pavard, The Right to Know? The Politics of Information about Contraception in France (1950s–80s), in Medical History, vol. 63, n. 2, p. 179.
  6. ^ [/web/20250102104002/https://www.nouvelobs.com/culture/20041126.OBS2461/la-liste-des-343-francaises-qui-ont-le-courage-de-signer-le-manifeste-je-me-suis-fait-avorter.html Il testo del manifesto e la lista delle firmatarie], su nouvelobs.com. URL consultato il 2 gennaio 2025 (archiviato dall'url originale).
  7. ^ Carlo Cavicchioli, Cortei e scontri a Parigi per un'imputata d'aborto, in La Stampa, a. 106, n. 224, 12 ottobre 1972, p. 13.
  8. ^ a b Lorenza Perini, Il corpo del reato. Parigi 1972 - Padova 1973: storia di due processi per aborto, Bologna, BraDypUs, 2014, p. 22.
  9. ^ a b c d e f g h Pinuccia Bonetti, Tutta Parigi con lei, in Noi Donne, a. XXVII, n. 49, 10 dicembre 1972, p. 23.
  10. ^ Pinuccia Bonetti, Tutta Parigi con lei, in Noi Donne, a. XXVII, n. 49, 10 dicembre 1972, p. 22.
  11. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, p. VII.
  12. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, p. 142.
  13. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, pp. 146-147.
  14. ^ L. Bo, Assolta una giovane che aveva abortito, in Il Corriere della Sera, a. 97, n. 226, 12 ottobre 1972, p. 19.
  15. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, p. 152.
  16. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, p. 143.
  17. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, p. 166.
  18. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, p. 161.
  19. ^ A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974, pp. 169-171.
  20. ^ Pinuccia Bonetti, Tutta Parigi con lei, in Noi Donne, a. XXVII, n. 49, 10 dicembre 1972, p. 25.

Bibliografia

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Fonti dell'epoca (fonti primarie)

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  • A cura dell’Associazione «Choisir», Un caso di aborto: il processo Chevalier, Torino, Einaudi, 1974.
  • Carlo Cavicchioli, Cortei e scontri a Parigi per un'imputata d'aborto, in «La Stampa», a. 106, n. 224, 12 ottobre 1972, p. 13.
  • L. Bo, Assolta una giovane che aveva abortito, in «Il Corriere della Sera», a. 97, n. 226, 12 ottobre 1972, p. 19.
  • Pinuccia Bonetti, Tutta Parigi con lei, in «Noi Donne», a. XXVII, n. 49, 10 dicembre 1972, pp. 22-23-24.

Saggi e Studi (fonti secondarie)

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  • Bibia Pavard, The Right to Know? The Politics of Information about Contraception in France (1950s–80s), in Medical History, vol. 63, n. 2, 2019, pp. 173-188.
  • Lorenza Perini, Il corpo del reato. Parigi 1972 - Padova 1973: storia di due processi per aborto, Bologna, BraDypUs, 2014.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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