Utente:Pietroemarco/Sandbox
Palazzotto di don Rodrigo | |
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Localizzazione | |
Stato | Italia |
Località | Lecco |
Informazioni generali | |
Condizioni | In uso |
Uso | Abitazione privata |
Il palazzotto di Don Rodrigo è situato sul promontorio dello Zucco nei pressi dei rioni di Acquate e Olate. Vi si arriva imboccando una "viuzza a chiocciola" che porta fino alla piccola spianata antistante. Il palazzo non è visitabile in quanto ad oggi ospita la sede del CONI.
Storia
modificaIl palazzotto di don Rodrigo fu edificato durante il XVI secolo e fatto costruire dai nobili Arrigoni di Introbio, i quali furono protagonisti di una lunga faida contro la casata Manzoni, antenati dello scrittore. Tra i vecchi proprietari vi fu un conte chiamato Salazar, di origine spagnola.
Il Palazzotto appariva nella identica descrizione dei "Promessi sposi" fino al 1938. In seguito fu modificato dai rifacimenti come da progetto dell'architetto Mario Cereghini, che ampliarono la torretta, ricostruendola più bassa, e le finestre le quali appaiono come oggi. Fu luogo di molti raduni per i patrioti nel 1848.
Descrizione attraverso il romanzo
modificaVenne chiamato così da Manzoni sia per sminuire quel luogo che per sottolineare il senso di inferiorità del signorotto che vi abita, ovvero don Rodrigo. Infatti quest’ultimo è considerato dai suoi pari non un temibile padrone bensì un mediocre tirannello. La sua residenza rispecchia molto il carattere del padrone, cioè che lui non si sente all’altezza dei suoi antenati. Nel romanzo Manzoni si sofferma molto sul complesso di inferiorità di Don Rodrigo ritornando spesso sul fatto che questo signorotto si senta potente solo all’interno della sua casa. Il palazzotto si trova su una collina e ai suoi piedi giacciono le case dei contadini a lui affiliati sottolineando dettagliatamente la posizione delle case rispetto al palazzo che è segno di obbedienza, della sottomissione dei contadini per don Rodrigo. Il palazzotto dà l’idea di una lurida caserma, infatti tutti i personaggi presenti “mezzi contadini e mezzi banditi” fanno intendere il loro servilismo per il padrone. La descrizione del palazzotto avviene con gli occhi di Fra Cristoforo ed in un primo momento essa conferisce un’aria piuttosto minacciosa al luogo ma questa prima apparenza verrà sminuita con la descrizione del castello dell'Innominato, un luogo che incute grande terrore.
Romanzo
modificaIl palazzotto di don Rodrigo è presente all'inizio del capitolo V quando Fra Cristoforo decide di andare a parlare con don Rodrigo per convincerlo a lasciar stare Lucia e le sue nozze.
Eccone una parte:
“Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca, sulla cima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de’ costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa.(...) Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne su una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant’alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore (...)”
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