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(LA)
«Sed omnia praeclara tam difficilia, quam rara sunt»
(IT)
«Tutte le cose eccellenti sono tanto difficili, quanto rare»
(Baruch Spinoza, Ethica, pars V De potentia intellectus seu de libertate humana, propositio XLII, scholium)
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La crociata del 1101 fu in realtà l'insieme di più spedizioni organizzate con l'intento di arrivare in Terra santa in seguito al successo della prima crociata, poiché all'indomani di essa si era palesata l'esigenza di rafforzare la presenza cristiana nel neonato regno di Gerusalemme. Verso la fine del 1100, un insieme di combattenti accompagnati anche da donne e bambini partì dalla Lombardia alla volta del Vicino Oriente, venendo raggiunto a Costantinopoli da un altro gruppo partito dalla Francia. Anziché ripetere il più sicuro percorso della prima crociata, il seguito deviò verso est allo scopo di liberare Raimondo IV di Tolosa, che si trovava prigioniero a Neocesarea. Avvertito della presenza degli stranieri, il sultano selgiuchideKilij Arslan I aveva assembrato una grande coalizione musulmana che mise in seria difficoltà l'avanzata dei cristiani, costringendoli alla fame e attaccandoli in maniera costante. Alla fine, egli riuscì a surclassare il fitto esercito nemico nella battaglia di Mersivan, trascinatasi per qualche giorno.
Nel frattempo, a Costantinopoli giunsero in momenti diversi due altre spedizioni, una partita dal Nivernese, l'altra dall'Aquitania e della Baviera. Alcuni membri di quest'ultimo nugolo di combattenti si convinsero a viaggiare via mare, sbarcando in Palestina nel giro di cinque settimane. Tale scelta rappresentò la loro salvezza, considerando che ognuna delle armate che aveva marciato via terra fu intercettata da Kilij Arslan e infine surclassata in due distinte occasioni nei pressi di Eraclea Cibistra. I pochi sopravvissuti a queste disastrose campagne riuscirono quasi tutti, in maniera rocambolesca, a raggiungere la Terrasanta, dove trascorsero qualche mese nel 1102.
L'esito della crociata del 1101, la cui denominazione peraltro non è univoca, ne pregiudicò probabilmente l'interesse degli autori occidentali dell'epoca e di quelli dei secoli successivi, i quali dimostrarono scarsa volontà nell'approfondire le vicende di quella che, ai loro occhi, era valutata una pagina buia. Di recente, gli studiosi hanno dedicato un più attento sguardo agli eventi storici, sviscerandone ogni prospettiva ed evitando di limitarsi alle conclusioni frettolose avanzate da alcuni cronachisti medievali in merito a presunti complotti bizantini o in merito alle scelte eccessivamente improvvide compiute dall'uno o dall'altro contingente di soldati giunti dall'Europa. Malgrado la crociata si concluse con un insuccesso, in quanto i rinforzi attesi ed effettivamente pervenuti in Terrasanta furono in realtà pochissimi, essa non esaurì il movimento crociato e dimostrò che la rotta più sicura era quella lungo il Mar Mediterraneo, circostanza che rafforzò la potenza commerciale e non solo delle repubbliche marinare italiane.
Gli opliti combattevano schierati in falange per essere più efficaci in battaglia, nonostante fossero in numero relativamente esiguo: tale formazione scoraggiava i soldati dall'agire da soli, perché ciò avrebbe compromesso la sicurezza dell'unità e minimizzato i suoi punti di forza. Gli opliti erano rappresentati principalmente da cittadini liberi (contadini e artigiani abbienti) che potevano permettersi un'armatura (in lino o bronzo) e delle armi, cioè circa un terzo o la metà della popolazione maschile adulta e abile. Il termine compare anche nei racconti di Omero, ma si pensa che il suo utilizzo effettivo sia iniziato intorno al VII secolo a.C., quando, durante l'età del ferro, le armi divennero più economiche ed i cittadini comuni furono in grado di procurarsele da soli. La maggior parte degli opliti non erano soldati professionisti e spesso non avevano ricevuto un addestramento militare adeguato. Alcune polis, come Atene, Sparta, Argo, Tebe e Siracusa, mantenevano pertanto una piccola unità professionale d'élite, nota come epilektoi o logades (lett. "eletti"), scelta tra i cittadini, come ad esempio la agema del Re di Sparta o il cosiddetto "battaglione sacro" di Tebe. Costituivano la maggior parte degli eserciti dell'Antica Grecia.
Nell'VIII secolo a.C. o forse nel VII secolo a.C., gli eserciti greci adottarono la formazione a falange, che si dimostrò efficace nella sconfitta riportata dai Persiani contro gli Ateniesi nella battaglia di Maratona (490 a.C.), la quale chiuse vittoriosamente per gli elleni la prima guerra greco-persiana (492–490 a.C.): gli arcieri e le truppe leggere impiegati dai Persiani a Maratona fallirono contro i Greci perché le loro armi erano troppo deboli per penetrare il muro di scudi dei falangiti. La falange fu poi impiegata dai Greci anche nella battaglia delle Termopili (480 a.C.) e nella battaglia di Platea (479 a.C.) durante la Seconda guerra greco-persiana (480–479 a.C.).
L'evoluzione finale degli opliti e della loro "primitiva" falange fu la falange macedone, sviluppata da Filippo II di Macedonia (r. 360–336 a.C.) e poi eternata alla storia dalle imprese di suo figlio Alessandro Magno (r. 336–323 a.C.), che avrebbe dominato i campi di battaglia dell'Antichità sino alla battaglia di Pidna (168 a.C.) contro le legioni di Roma.
Castore è un sistema formato da sei componenti, disposte in tre differenti coppie. Le prime due coppie, Castore A e Castore B, sono due binarie spettroscopiche; in ciascuna coppia, le primarie sono stelle bianche di sequenza principale, separate fra loro da 5,5 secondi d'arco; le due secondarie invece non sono state ancora ben tipizzate, ma potrebbero essere delle nane rosse. La terza coppia, Castore C o YY Geminorum, è formata da due nane rosse ed è separata dalle prime due da circa 70 secondi d'arco.
La stella dà il nome all'Associazione di Castore, un'associazione stellare che conta una sessantina di membri accertati, fra cui Vega e Fomalhaut, aventi una probabile origine comune. I nomi delle due stelle più brillanti della costellazione dei Gemelli, nonché il nome della costellazione stessa, derivano dai gemelli della mitologia greca, Castore e Polluce.
La crociata del 1197, nota anche come crociata di Enrico VI o crociata tedesca (in tedescoDeutscher Kreuzzug) fu una spedizione organizzata dall'imperatore Enrico VI contro il Sultanato ayyubide e che perseguiva lo scopo di riconquistare Gerusalemme. Tra le altre motivazioni, la campagna era stata anche pianificata per rimediare al fallimento del padre di Enrico, l'imperatore Federico Barbarossa, il quale morì nel 1190 mentre era in marcia con il suo esercito per partecipare alla terza crociata.
Anche Enrico VI perì ancor prima di arrivare in Terra santa, ma i tedeschi che approdarono a destinazione si distinsero ben presto per il loro atteggiamento bellicoso e la loro sete di conquista, suscitando il disappunto del re di GerusalemmeEnrico II di Champagne, che era consapevole dei fragili equilibri politici nella regione e desiderava preservarli. Alla morte di Enrico II, avvenuta nel settembre del 1197, mentre le operazioni militari erano ancora in corso, gli succedette Amalrico II di Lusignano. Malgrado fossero riusciti a riprendere il controllo di Beirut e di alcuni insediamenti costieri del Libano, i combattenti cristiani si impantanarono nell'assedio della fortezza di Toron. Nei primi mesi del 1198, i tedeschi raggiunsero Tiro e, appresa la notizia della morte di Enrico VI, fecero ritorno in patria. Con i musulmani fu dunque siglata una tregua che ricalcava i contenuti della pace di Ramla del 1192, stipulata tra Saladino e Riccardo I d'Inghilterra. Tuttavia, la sua validità avrebbe avuto effetto soltanto nel caso in cui non fosse giunto un nuovo sovrano di uno Stato europeo in Terra Santa.
Oltre alle modeste conquiste summenzionate, la crociata del 1197 ebbe una conseguenza di grande rilievo, ossia la fondazione dell'Ordine teutonico. L'influenza di tale ordine religioso cavalleresco crebbe in modo considerevole nei decenni successivi, raggiungendo il suo apice quando i suoi membri si concentrarono sulle crociate del Nord Europa.
Il tumulto dei Ciompi fu un'insurrezione verificatasi a Firenze tra il luglio e l'agosto del 1378 e motivata da rivendicazioni di natura economico-sociale. Iscritta al novero delle rivolte popolari del XIV secolo, i protagonisti furono gli operai salariati dell'Arte della Lana, da quel momento noti come "Ciompi", insieme ad altri membri del cosiddetto "popolo minuto", ovvero lavoranti, garzoni e piccoli artigiani non affiliati alle Arti di Firenze (le corporazioni cittadine). La rivolta si verificò in un momento storico difficile per la città, caratterizzato da scontri tra guelfi e ghibellini, fallimenti bancari, sconfitte militari ed epidemie di peste.
Dal 1375, Firenze era impegnata nella guerra degli Otto Santi contro lo Stato Pontificio, il che aveva aggravato le tensioni tra il partito della Parte Guelfa, dominato dai magnati nobili, e il governo dei Priori, formato da rappresentanti delle Arti maggiori, ovvero i borghesi più ricchi. Il 18 giugno 1378, il Gonfaloniere di GiustiziaSalvestro di Alamanno de' Medici propose una petizione per rafforzare gli Ordinamenti di Giustizia, che escludevano i nobili dal governo cittadino, provocando una reazione violenta sia da parte dei magnati sia delle Arti sostenute dal popolo minuto, sedata con difficoltà mentre il clima rimaneva teso. Nelle settimane successive, le fasce più umili della popolazione iniziarono a considerare l'idea di un'insurrezione per ottenere un riconoscimento politico. Il tumulto esplose il 20 luglio, quando si diffuse la voce che i Priori avessero arrestato e torturato alcuni cittadini sospettati di organizzare la rivolta. Gli operai della lana, i Ciompi, scesero per primi in piazza, seguiti presto da tutte le Arti con l'eccezione di quella della Lana. Due giorni dopo, i Priori abbandonarono il Palazzo che cadde in mano ai rivoltosi. Michele di Lando, un uomo del popolo, fu nominato Gonfaloniere di Giustizia e prese il controllo della città. Nei giorni seguenti, vennero istituite tre nuove Arti per includere anche gli operai della lana e furono introdotte riforme che garantivano la partecipazione di ogni ceto sociale nel governo.
Le tensioni si riaccesero quando il nuovo governo sembrò aver tradito il popolo minuto, tornato a sentirsi emarginato. Le Arti minori si distanziarono dall'Arte del Popolo di Dio (la nuova corporazione degli operai lanaioli) per gli obiettivi divergenti e, il 31 agosto, le Arti tradizionali, sostenute dal governo, attaccarono i Ciompi in Piazza della Signoria. Dopo una violenta repressione Firenze tornò sostanzialmente alla struttura politica e sociale antecedente.
Questi eventi ebbero un impatto significativo sulla popolazione fiorentina. Gli storici, sia dell'epoca che moderni, hanno fornito varie interpretazioni: alcuni hanno visto una manipolazione delle fasce più umili da parte dei poteri esistenti; altri hanno invece riconosciuto nei rivoltosi chiari obiettivi politici e una presa di coscienza sociale, anticipatrice dei futuri conflitti di classe tra capitale e movimento operaio.
Scontenti per la perdita di importanza, ricchezza e privilegi sperimentata durante il rinnovamento Meiji, negli anni '70 del XIX secolo i samurai, antica casta di guerrieri-servitori dei daimyo (signori feudali), cominciarono a opporsi con sempre più forza all'autorità imperiale giapponese, fautrice viceversa dell'occidentalizzazione dello Stato e che vedeva i samurai come un retaggio anacronistico del passato feudale del Giappone. Dopo la fine della guerra Boshin (1868-69) i giapponesi scontenti cominciarono a raccogliersi attorno all'influente politico e samurai Saigō Takamori, che pure inizialmente era stato uno dei fautori del rinnovamento nazionale voluto dall'imperatore Meiji, e nel 1877 insorsero dando il via alla ribellione del dominio di Satsuma.
Dopo alcuni iniziali successi, i samurai di Saigō furono progressivamente sconfitti dalla superiorità numerica e tecnologica dell'esercito imperiale; decisi a resistere, il capo ribelle e i suoi fedelissimi si ritirarono nel feudo di Kagoshima, epicentro della rivolta. Furono quindi assediati dai soldati regolari sul vicino monte Shiro, e dopo settimane di assedio il successivo 24 settembre Saigō e i samurai superstiti opposero un'eroica quanto futile ultima resistenza, morendo sotto i colpi delle mitragliatrici Gatling e dei cannoni imperiali.
La battaglia di Shiroyama pose fine alla ribellione di Satsuma, rappresentando l'ultimo serio tentativo di opposizione alla modernizzazione del Giappone. Con la morte di tutti i samurai coinvolti nella battaglia, la millenaria casta guerriera nipponica cessò di esistere in quanto tale, anche se il codice d'onore da essa seguito, il bushido, continuò a rivestire per lungo tempo grande importanza nella società giapponese. La battaglia di Shiroyama, pur con molte libertà artistiche, è vividamente ritratta nel film L'ultimo samurai (2003), così come in numerose altre opere artistiche come quadri e canzoni.